Tirana 17.05.2020

Uniamoci!
Verso la grande rottura.
(Drejt prishjes së madhe)

Questo che scriviamo è un manifesto a più mani che sia di sostegno e incitamento, affinché possiamo lottare per difendere i nostri monumenti. Affinché possiamo continuare a riconoscere il valore della nostra arte, cultura e storia. Affinché possiamo rifiutare di pensare o disegnare, fare render ed eseguire ordini per conto di altri: capi, politici e padroni del nostro lavoro. Affinché possiamo rifiutare la strumentalizzazione dell’architettura, argomentando i motivi per cui farlo. Mettendoci rabbia, conoscenza e passione. Affinché di monumenti e architettura si possa discutere nelle scuole, nelle università e persino nei bar. Soprattutto quando al valore storico e culturale di un edificio si contrappone un’estetica commerciale di consumo.

La notte del 17 maggio 2020, il teatro di Tirana è stato demolito, lasciando un vuoto in cui echeggia – come già messo in luce dagli attivisti che si sono mobilitati in difesa dell’edificio – la domanda: “Che fare?”. 

Nell’Albania neoliberista di oggi, il mercato e le oscillazioni del valore del suolo e della sua rendita nonché le attività di speculazione edilizia e finanziaria vanno a braccetto con operazioni troppo disinvolte su edifici spesso vincolati o di grande valore sociale. Questo porta alla perdita della memoria collettiva e alla cancellazione di frammenti di storia. Un modo di operare che oggi è riportato in luce dai fatti di Tirana, ma che investe molte realtà urbane internazionali, che il più delle volte passano inosservate a causa di una sistematica, e forse indotta, indifferenza.

In un momento in cui l’architettura è più che mai strumentalizzata dai mass media e dalla politica, diventa importante raccogliere le espressioni del pensiero alternativo di studenti, architetti, ricercatori, così come di artisti, giornalisti e intellettuali. Vorremmo che il manifesto infiammasse una coscienza politica critica che possa partire dal basso, ad esempio da chi questa architettura la produce, la disegna, la “materializza” virtualmente, ma spesso non la pensa, poiché si trova ad eseguire l’ordine di un pensiero speculativo imposto.

Nel tentativo di provare a scheggiare questa ideologia mascherata dalla retorica della “modernizzazione”, puntiamo a “guardare oltre”, grazie all’apporto di chi vorrà contribuire con un commento sulle vicende del teatro di Tirana, sulla sua architettura, sul suo ruolo storico o sull’antagonismo di questo edificio rispetto agli attuali processi di sviluppo urbano.

Il manifesto è un richiamo ad unirci contro tutti i tentativi di sopire sensibilità politiche e professionali nella mente di chi, appunto, ora si chiede “che fare” per non perdere altri teatri e altre battaglie.

UNISCITI!


Nicola Cosimo Aluisio Vitangelo Ardito Vincenzo Paolo Bagnato Nicola Dario Baldassarre Paolo Baronio Roberta Belli Fabrizio Bellomo Maurizio Boriani Maria Antonietta Catella Nicola Cavallera Agi Çeka Marco Chiricallo Marta Corona Rossella de Cadilhac Mariadina Delfino Alba Laura Dell'Olio Silvia de Mauro Ylli Demneri Nicoletta Faccitondo Davide Falco Antonello Fino Loredana Ficarelli Aguinaldo Fraddosio Mariacristina Giambruno Maria Adriana Giusti Matteo Ieva Stela Karabina Adi Krasta Marson Korbi Léon Krier Saimir Kristo Mariagrazia L'Abbate Alessandro Labriola Alessandro Laera Alberto La Notte Klodi Leka Giovanna Liuzzi Monica Livadiotti Fani Mallouchou-Tufano Mauro Marino Nicola Martinelli Maira Marzioni Francesco Maria Mastandrea Elidor Mëhilli Anna Bruna Menghini Carlo Moccia Xhulja Noreci Luna Nuzzo Chiara Occelli Cinzia Paciolla Mariagrazia Panunzio Vittorio Parisi Maura Pinto Piervito Pirulli Federica Pompejano Valerio Perna Enrico PorfidoFrancesco Protomastro Arlind Qori Vito Quadrato Giuseppe Resta Marco Rizzo Giorgio Rocco Valentina Santoro Konstantinos Sarantidis Silvia Sbisà Renee Soleti Giuseppe Strappa Giuseppe Tupputi Ardian Vehbiu Serena Vinci Andrea Innocenzo Volpe Mikel Xeka

Marson Korbi (PhD. Arch., DICAR-Politecnico di Bari)  

Tempesta a Tirana  
Radicandosi nel tempo, teatri e monumenti diventano proprietà comune col rito di tutti. Tempeste di lotte, dimostrazioni e violente rivolte a seguito della loro demolizione da parte del capitale rievocano oggi più che mai quello spettro che s’aggirava per l’Europa e sembrava perso. Non case, né torri e né ville, ma Teatri, Stadi per concerti e Aule per le Istituzioni del Comune e del bene Comune van costruiti oggi, identici al vecchio Teatro. “Com’era, dov’era” ed esattamente com’era, anche lì dove non era.   

Giuseppe Tupputi (PhD. Arch., DICAR-Politecnico di Bari)

Macerie immor(t)ali  
La demolizione del Teatro Kombetar fa parte di quelle scelte di speculazione economica neoliberista che trovano in un certo tipo di architettura e di urbanistica il giusto ‘compagno di merenda’ per i propri misfatti.  
Queste scelte si deliberano nell’ombra, ignorando i pensieri e i desideri dei cittadini, ignorando la loro volontà di re-immaginare affettuosamente i luoghi collettivi della città.  
Queste scelte si attuano nella notte, ignorando anche i corpi – letteralmente – e le pratiche di riappropriazione già in atto.  
Queste scelte producono macerie, ma generano anche simboli; simboli che – se noi vogliamo – diventano immortali e caricano la molla della storia.  

Paolo Baronio (PhD. Arch., DICAR-Politecnico di Bari)

La notte di TiRama  
Nel sistematico, crescente, processo di annullamento dell’identità urbana di Tirana, la demolizione del Teatro Kombëtar rappresenta l’atto inaugurale del compiuto disgregamento dell’ossatura della città storica. Il teatro è stato distrutto di notte, nel buio che è paradigma di quel pensiero acritico assoggettato alle logiche di mercato che muove i fili di un sistema politico connivente.   
Non è stato abbattuto solo un edificio, ma un simbolo, un centro del pensiero, uno spazio palpitante, un luogo della memoria che ha saputo incarnare la voce e l’anima della città di Tirana… un’anima le cui radici, ormai, non esistono più.   

Antonello Fino (PhD. Arch., DICAR-Politecnico di Bari) 

Distr a/u zione  
L’architettura è performance? Così si è chiuso per sempre il sipario del teatro Kombëtar, dove, dietro la maschera di un’architettura nuova e ammiccante, di scena è stato il baratto fra bene comune e interesse privato.   
L’illusione del progresso passa ancora una volta attraverso l’architettura; un modo di fare architettura che si fa strumento di una promessa di modernità, che intrattiene il pensiero critico e nel frattempo lo distrae, celando azioni violente e distruttive a danno della collettività e della memoria storica.  

Vito Quadrato (PhD. Arch., DICAR-Politecnico di Bari) 

Il Teatro e il suo doppio  
Quali significati simbolici assumono gli edifici per il potere?  La prima possibilità è quella di ricordarci un mondo che non è mai esistito, un mondo ‘ideale’ mai verificatosi nella realtà passata. La seconda possibilità è nell’edificio come promessa di realtà (o di felicità?), attraverso l’operazione di rimozione di quello che si dava per assodato. In entrambi i casi, come ogni simbolo che si rispetti, ogni edificio è sempre diviso in due, una metà di senso data da chi il potere lo detiene, l’altra metà conferita da chi il potere non ce l’ha. Se questa rottura in due parti non si ricompone in unità, anche l’edificio più all’avanguardia, più seduttivo e immaginifico non ha alcuna speranza di seppellire l’assenza di quello che c’era prima, vanificando quello che ci sarà.  

Konstantinos Sarantidis (PhD. Archaeologist, Hellenic Ministry of Culture and Sports, Archaeological Resources Fund, Athens)

Monuments as Collective Memory
The Theater Kombëtar has been demolished. The building known as "Y-block"in Oslo, an ornament of brutalist Architecture in Europe, which was designed by the famous Norwegian modernist Erling Viksjø is endangered. The new investment plans of the Norwegian government do not allow for its preservation. The elevations of the building are decorated by P. Piccasso with frescoes of particular importance for his future artistic evolution. In Thessaloniki, the ongoing construction works for the metro have brought to light the Decumanus Maximus and the porticoes along its course, in the heart of the Byzantine city. The discoveries are going to be removed and relocated elsewhere. Despite all other alternatives the desicion has been made. From South to North and from East to West the tendency in Europe is to invest efforts, as well as money regardless cultural heritage, or even against it. In the Greek language the word monument (μνημείο) derives linguistically from the word memory (μνήμη): it is her child.  Monuments symbolize and express our collective memory as societies, as entities, as human beings. I don't want to forget any more. 

Monica Livadiotti (Prof. Arch., direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio del Politecnico di Bari) 

Speriamo che Le Vespe... 
Gli ambienti urbani sono stratificati e nel tempo subiscono modifiche e alterazioni dovute alla loro stessa continuità di vita. Nella loro storia, le città sono state spesso ricostruite sulle loro stesse rovine, determinate da eventi naturali, da distruzioni belliche, da azioni intenzionali dovute a mutate esigenze. Quello che però oggi costituisce una sostanziale differenza con il passato è la nostra maggiore consapevolezza di moderni del valore della storia, che dovrebbe spingerci alla conservazione di un patrimonio monumentale al quale riconosciamo un insostituibile valore di testimonianza. La distruzione intenzionale del teatro di Tirana, seguita alla recente demolizione dello Stadio della stessa città, è un atto incivile il quale, andando contro questo assunto condiviso, consegna all’oblio un altro tassello della storia di Albania che è anche la nostra storia. Oggi Tirana è più povera e il suo paesaggio urbano più triste. Dobbiamo vigilare perché queste distruzioni non avvengano più, ovunque vi siano centri storici e paesaggi da salvaguardare. Se l’iniziativa di “Le Vespe” riuscirà a renderci più attenti e ad aprire una profonda riflessione sul tema, avrà avuto l’efficacia che ci auguriamo tutti. 

Agi Çeka (Architetto, UPC, Barcellona) 

Tradimenti urbani 
Delirio di sistema, sperimentazioni balcaniche, architetture politiche, caos urbano, una terra violata ed un popolo costretto ad essere continuamente rappresentato da accordi corrotti e senza fondamento.
Le persone sono materia ed energia. Lo sono anche gli edifici. Anche i Teatri. Le persone hanno una loro storia. Così come gli edifici. Così come i Teatri. Li costruiamo per costruirci; diamo a loro vita e loro ce la restituiscono.
Per questo, il disegno delle nostre città ci rappresenta, perché l'architettura è storia congelata in materia; è il nostro passato, il presente e il futuro. Conservare il patrimonio è un dovere che le future generazioni ci impongono. Disegnare col cuore in gola col timore di deluderli è un dovere ed un onore. Perché noi siamo quello che distruggiamo e quello che costruiamo. Perché dipende dall'uomo che le civiltà siano viziate dall'universo.

Aguinaldo Fraddosio (Ricercatore di Scienza delle Costruzioni, DICAR, Politecnico di Bari) 

Conserv-Azione 
Vendere: la propria anima, la propria tradizione e il proprio passato ad un futuro senza storia, senza luogo e senza volto. Sfigurare: l’emblema di una città, che porta incise vicende di dominazione e riscatto, di oppressione e liberazione, già minacciato da grattacieli che potrebbero trovarsi in qualsiasi città del mondo. 
Queste azioni non sono progresso, ma discesa nella barbarie in-colta, che cancella l’identità di un luogo e di un popolo per appiattirli entrambi nell’indistinto globalizzato. 
Il Popolo Albanese avanza verso l’avvenire muovendo dal Palazzo del Museo Storico Nazionale. Non è ossimorico: l’avvenire è nella propria storia, l’azione da fare oggi è la Conserv-Azione. 
Perché non accada più. 

Maurizio Boriani (Prof. Arch., Politecnico di Milano) 

Take care not destroy 
Please keep the architectural evidence of your recent history. The next generations will ask you for it. All the more so in the center of Tirana, which constitutes a beautiful example of urban planning of the years between the two world wars. 

Mauro Marino (Operatore Culturale, Giornalista) 
 
Noi e gli artisti d’Albania 
Ho sempre immaginato che il Teatro di Tirana sia stata una grande fucina di artisti, di una tradizione, di una disciplina che ha profondamente nutrito dopo gli anni Novanta (ma forse anche prima) la sensibilità è il fare creativo della mia terra: il Salento. La musica Salentina ha un grande debito con gli artisti e gli interpreti che hanno scelto di venire a vivere e a lavorare nella Terra di Mezzo. Sono stati loro i veri innovatori nell'aprire l’ascolto, nell'educarlo, all'ascolto profondo dell’altra sponda e del Mediterraneo. Un debito ancora in parte non riconosciuto ma chi ha memoria sa e difende ciò che è stato è tutto il portato della Memoria. Piango le rovine di quel Teatro ma ciò che quelle mura hanno accolto rimane nel sentire di chi crede che l’Arte sia l’unico vero strumento di salvezza e di concordia.

Carlo Moccia (Prof. Arch., DICAR-Politecnico di Bari) 

W la Resistenza! 
La Resistenza è una forma malinconica, ironica e agguerrita di speranza (Luigi Snozzi). Lunga vita alle vespe attiche! 

Federica Pompejano (Postdoctoral researcher, Department of Architecture and Design, University of Genova)

Për Teatrin Kombëtar
When will we start to consider heritage as an on-going process rather than as a mere object? A discursive process that concerns cultural, societal, historical aspects and memories in the present, in reference to the past. There were several reasons that claimed for the Tirana National Theatre to be preserved. It was an outstanding example of early 20th-century Italian modern architecture, highly significant for its building technique and materials, being the first Italian large prefabricated construction in Albania, and the only one of its kind in the country. Since its construction during the Italian Protectorate, it witnessed the 20th-century history of Albania through its minor architectural transformation while maintaining its public cultural and societal function. It could have been defined as "cultural resilient system", a system, consisting of cultural processes in relevant communities, able to absorb adversity, deal with change and continue to develop, thus implying both continuity and change (Holtorf, 2018), as well as a “shared heritage” since it was a document of both Albanian and Italian culture and history. Finally, being the principal theatre of Albania since the end of the 1930s, it was undoubtedly a place where Albanian theatrical history was made and where the art and theatre of today should have continued to be made. In the void left by the destruction of this significant bulwark of cultural resilience, its cultural and societal memory will always echo.

Rossella de Cadilhac (Prof. Arch., DICAR-Politecnico di Bari)

Una cancellazione annunciata
Non ha avuto scampo il teatro Kombëtar a Tirana, sfuggito alle distruzioni della seconda guerra mondiale e sopravvissuto alla “riconversione simbolica” della città, pianificata dagli italiani negli anni Trenta del XX secolo, imposta dalla dittatura comunista di Enver Hoxha subito dopo il conflitto. Una cancellazione annunciata quella prefigurata da Edi Rama, primo ministro albanese, e attuata nottetempo il 17 maggio 2020 da Erion Veliaj, sindaco della città dal 2015. L’operazione si colloca all’interno di un più ampio e ingiustificato progetto di rimozione che ha colpito nel 2011 il giardino ribassato di piazza Skanderbeg disegnato nel 1935 da Giulio Berté, lo stesso progettista del teatro nazionale realizzato quattro anni più tardi, e nel 2016 non ha risparmiato lo stadio realizzato fra il 1939 e il 1941 su progetto di Gherardo Bosio, subito rimpiazzato da un’architettura indifferente e decontestualizzata. Giustificata da una presunta inaffidabilità statico-costruttiva e legittimata da un malinteso senso di modernità, la demolizione programmata del teatro in vista della sua sostituzione con un’architettura decisamente estranea all’identità del luogo, ha rimosso una testimonianza tangibile di un momento significativo della storia di Tirana, un documento d’arte e di cultura, un simbolo della memoria collettiva. Che non sia questa perdita un inutile sacrificio e valga come monito per l’uomo contemporaneo e per le generazioni future.

Marco Rizzo (già parlamentare europeo)

Camminare nella storia è possibile
Vedere le opere di chi ci ha preceduto rende loro vivi e noi più ricchi. Certo in un mondo dove la ricchezza si misura solo col denaro e col profitto resta difficile. Ma non impossibile. La lotta "per" il Teatro di Tirana è una battaglia che vale la pena. Lottare, in questo caso, è già vincere. Tirana è il suo Teatro, anche se non ci fosse più.

Valentina Santoro (Ricercatore in Restauro dell’Architettura, DICAR, Politecnico di Bari)

Azzeramento al presente
Senza memoria non si progetta il futuro. Facciamo uno sforzo di immaginazione. Pensiamo a un uomo che vive a Tirana e che percorre la stessa strada che porta al teatro, ogni giorno, da anni. Codifica e consolida immagini che si arricchiscono sempre di nuovi dettagli. Alcune di queste immagini confluiscono nella sua memoria più intima, altre sono presenti collettivamente nella sua e in quella degli altri.
Adesso immaginiamo che improvvisamente questa strada inizi a svuotarsi di alcuni edifici. Il vecchio deve essere rimpiazzato dal nuovo. Diceva Panofsky che “il futuro si inventa con i frammenti del passato”.
Torniamo a quell’uomo. Cammina, ma del Teatri Kombëtar nessuna rovina, nessuna memoria. Il suo pensiero è disorientato: resta sospeso in un presente, improvvisamente azzerato. A proposito del tempo: “noi siamo esseri temporali, viviamo nel tempo e non sappiamo mai definire esattamente cosa sia il tempo. Ma in questo vivere nel tempo siamo come l’atleta che per fare un balzo avanti deve fare sempre un passo indietro, se non fa un passo indietro non riesce a balzare in avanti” (Umberto Eco).

Francesco Maria Mastandrea (Arch. Spec., Bari, Bologna, Alma Mater Studiorum Università di Bologna)

Consapevolezza o “paura”

Il teatro, luogo di scambio e allo stesso tempo di arricchimento per antonomasia è oggi come dalla sua origine il fulcro della società. Dall'antica Grecia in cui affonda le sue radici per giungere fino a noi è ciò che più si avvicina all'idea moderna di comunità, una comunità che oggi viene negata, dimenticata e oscurata davanti alle effimere scelte volte solo al presunto accrescimento economico. L’architettura antica è come un anziano nella società, è la vera ricchezza del presente, è la nostra fonte inesauribile di conoscenza e le radici della nostra essenza da cui ognuno di noi può solo imparare, avendo l’unico dovere di preservare e proteggere quanto i secoli ci hanno tramandato per generazioni. Il teatro di Tirana era parte di quest’unicum che oggi perde un cardine fondante della storia di tutti noi.

Mariacristina Giambruno (Prof. Arch., Dipartimento di Architettura e Studi urbani, Politecnico di Milano)

Salvaguardare il passato per progettare un futuro sostenibile. Per la salvezza del patrimonio architettonico albanese
Il territorio albanese è ricco di testimonianze del passato, stratificate dal tempo più antico sino agli anni recenti. Questo patrimonio è ora in pericolo, incalzato da una idea di ‘modernità’ che privilegia il nuovo come simbolo di progresso e sviluppo a scapito del più antico. Dalla demolizione del Teatro Kombetar a Tirana, sino alla cementificazione delle coste del sud, l’Albania si sta avviando alla demolizione della sua eredità culturale che ne costituiva l’identità unica e irripetibile. Saper far convivere il nuovo con l’antico è il miglior modo di dimostrare la modernità e lo sviluppo di un Paese, in grado di conservare il proprio passato per progettare il futuro.

Giovanna Luizzi (Arch., allieva SSBAP, DICAR, Politecnico di Bari)

La causa degli albanesi è la mia
L’esclamazione di Garibaldi non è altro che la testimonianza che l’interesse italiano verso la “Porta dell’Oriente” ha radici profonde. Alla luce degli avvenimenti che hanno coinvolto di Teatro Kombetar di Tirana, le sue parole sono oggi più che mai attuali. La consapevolezza del patrimonio è il primo passo verso la tutela. Se la società continuerà a sentirsi coinvolta solo da ciò che accade sotto il suo naso, le urla, la dedizione e l’impegno di quanti si sono battuti negli anni per salvare il Teatro Kombetar saranno stati vani. Non tanto per l’esito negativo in sé e per sé, quanto per l’inevitabile possibilità che si ricada negli stessi infausti errori. Colui che ha permesso che ciò accadesse, può essere additato come l’Anticristo della Conservazione, riportandoci indietro agli sventramenti ottocenteschi. L’integrazione nella vita sociale del patrimonio architettonico diventa conditio sine qua non perché anche chi è tenuto a prendere decisioni di tale portata agisca nella piena coscienza di cosa è in gioco, non assecondando ogni corruzione politica ed economica. Allo stesso modo tutti dobbiamo sentirci investiti di una grande responsabilità, artisti, architetti, politici, ecc.; non è andato perduto solo un pezzo della storia e dell’identità albanese, è andato perduto un tassello della ricchezza architettonica e culturale di noi tutti. Per questo la causa degli albanesi è anche la mia, un danno inferto al patrimonio architettonico è anche una mia ferita.

Maria Antonietta Catella (PhD. Arch., DICAR-Politecnico di Bari)

Le contraddizioni della nostra epoca
Un comune destino di ricostruzione, manifestatosi tra gli ultimi anni del XX secolo e i primi del XXI, lega alcuni teatri europei. Gli eventi storici evidenziano in alcuni casi che i teatri sono stati ricostruiti a seguito di episodi traumatici e distruttivi, come gli incendi che hanno interessato il Teatro Petruzzelli di Bari nel 1991, il Gran Teatre del Liceu di Barcellona nel 1994, il Teatro La Fenice di Venezia nel 1996; in altri casi la ricostruzione è stata attuata per ragioni di carattere strutturale e per questioni di adeguamento alla normativa vigente in materia di sicurezza, come dimostra l’Odéon di Parigi. Il caso più emblematico, come fa notare Ascension Hernandez Martines ne La clonazione architettonica, è certamente rappresentato dal Globe Theatre di Londra, “monumento popolare” demolito nel 1644 e ricostruito solo nel 1999. Tutti questi monumenti sono stati caparbiamente ricostruiti quasi fedelmente con un chiaro intento imitativo, giustificato dall’istanza psicologica e dal valore di memoria collettiva di cui questi luoghi sono dotati. In questa comune finalità di conservazione del valore culturale e simbolico del teatro, sorprende quindi assistere alla demolizione del Teatro Kombetar di Tirana. Un evento controcorrente che invita a riflettere su come sta mutando la nostra idea del passato: la globalizzazione ha certamente permesso la rapida diffusione della conoscenza e di prodigiosi mezzi di conservazione e restauro, ma è anche causa di scellerate distruzioni attuate per ragioni economiche e speculative. La demolizione del Teatro di Tirana, come quella dello Stadio della stessa città, attuata nel 2016, o del Pont des Trous a Tournai, in Belgio, avvenuta ad agosto dello scorso anno, contribuiscono a fornire una immagine dell’uomo artefice e carnefice della propria memoria, tanto contraddittorio tra perseveranti ricostruzioni quasi fedeli e demolizioni intenzionali.

Vittorio Parisi (PhD in Estetica, direttore degli studi e della ricerca, Villa Arson, Nizza)

"L'origine è davanti a noi"
Quando ho visto bruciare la cattedrale di Notre-Dame a Parigi, allo choc iniziale è seguita una consapevolezza un po' fatalista: la distruzione di un monumento è essa stessa un monumento, destinato a generare narrazioni e quindi a rimanere scolpito nella memoria collettiva.
Tanti, gli incendi illustri a cui ci aveva abituati la storia, prima di quello - sbalorditivo al limite dell'impensabile - che ha devastato la cattedrale parigina. Tanti i dipinti di quegli incendi, tante le testimonianze scritte. Tantissime, oggi, le fotografie, i tweet, i post seguiti al rogo di Notre-Dame.
La demolizione del teatro Kombëtar di Tirana è una distruzione meno chiacchierata ma non per questo meno sbalorditiva. Non una svista, ma una scelta precisa e cosciente: sacrificare la memoria e l’identità urbane sull’altare della rinascita economica e culturale.
Ogni città che si trasformi cancellando la sua memoria e la sua identità è destinata a distruzioni più profonde di quelle che digeriscono il legno e la pietra. Eppure i cittadini hanno il potere di scrivere le narrazioni di domani e riaffermare con forza ciò che è negato dalle pale meccaniche dell'idiozia amministrata.
Chiunque oggi si senta offeso da quell'idiozia può dirsi cittadino di Tirana e di tutte le altre città su cui incombe la minaccia di una distruzione scellerata.
A questa cittadinanza "espansa" spetta la scrittura di una nuova memoria urbana collettiva: "La nostra origine non è dietro di noi, è davanti a noi".

Luna Nuzzo (studente, DICAR–Politecnico di Bari)

Il Teatro Kombëtar non esca di scena!
L’abbattimento del Teatro Kombëtar non sancisce la perdita di una battaglia, ma simboleggia la perdita architettonica, storica e culturale di un intero popolo, sotto le spoglie di un progresso architettonico d’avanguardia che non potrà mai ricucirne l’anima. È per questo che la lotta per la tutela dei luoghi simbolo delle città deve continuare: non può esistere un reale progresso senza memoria storica. Un pezzo d’identità è andato troppo facilmente perduto, con la speranza di far diventare la nostra memoria, e la nostra voce, “luoghi” simbolo del teatro di Tirana, dove la battaglia ha inizio.

Mariadina Delfino (studente, DICAR–Politecnico di Bari)

E adesso?
Demolire il teatro di Tirana nella notte, avrà soddisfatto i beceri interessi economici? Forse si, ma allora non esiste null’altro? La demolizione del teatro, non è il primo atto di distruzione scellerata operata nella città, giustificata da una inutile e fasulla ricerca di modernità. Un frammento del patrimonio storico è stato cancellato. C’è da chiedersi, cosa sarebbero i singoli individui se improvvisamente venissero privati della propria memoria, lo smarrimento e la perdita della propria identità. Un’intera comunità, così, ha perso parte della propria identità, il valore della storia, della memoria, sono stati ancora una volta ignorati.Questo non può essere l’avvenire.

Marco Chiricallo (studente, DICAR–Politecnico di Bari)

Le magnifiche sorti e progressive
L'abbattimento del teatro di Tirana è solo l'ultima, inevitabile vittima della spietata macchina che una sempre maggiore parte della società contemporanea è abituata a chiamare "progresso". Dietro la facciata di cartone della promessa di una crescita illimitata si nasconde un gigantesco e mostruoso meccanismo fuori controllo, che per funzionare brucia legami, identità, particolarismi. Ovunque è sempre più diffuso l'interesse per ciò che è utile: utile al progresso, alla crescita, alla produzione; tutto il resto, l’inutile, va eliminato. Ed era inutile anche il teatro di Tirana. Cercare di affermare il contrario è forse sintomo di una sindrome di Stoccolma: ci si arrampica sugli specchi per dimostrare che valga la pena salvare qualcosa usando gli stessi schemi mentali di una società che di quel qualcosa non se ne fa niente. Noi dobbiamo urlarlo invece con forza: il teatro di Tirana era inutile. La cultura è inutile. Il latino e il greco, l'arte, la storia, lo studio del passato, è tutto clamorosamente, meravigliosamente inutile. Dobbiamo rivendicare, e rivendicare con forza, il valore dell'inutile: il valore di ciò che non produce ricchezza, ma arricchisce l'anima; di ciò che non fa girare l'economia, ma preserva l'identità; di ciò che non fa vivere più comodi, ma più felici. Il teatro di Tirana non era utile alla società che lo ha abbattuto. Ma utile non è sinonimo di importante. E continuerà a non esserlo solo se non ci arrenderemo in questa battaglia.

Giorgio Rocco (Prof. Arch., direttore del DICAR, Politecnico di Bari e Presidente del Centro di Studi per la Storia dell’Architettura, soc. scient. SSD ICAR/18-19)

Non è Tirana
Oggi più che mai, all’indomani della distruzione preannunciata di uno dei monumenti identitari di una città che ci è cara, espressione della hybris di un potere arrogante e brutale, è necessario sottolineare come quanto accaduto non sia occasionale, ma sia parte di un processo coerente di cui non mancano i precedenti e non mancheranno purtroppo altri episodi futuri. Il generalizzato affermarsi di una globalizzazione espressione di un neoliberismo dilagante, volta alla metodica distruzione delle culture identitarie nel nome di un superamento dei particolarismi locali, è in verità quanto di più lontano si possa immaginare da quel cosmopolitismo, che pure ha segnato il nostro passato, che perseguiva invece l’apertura alle diversità proprio nel rispetto delle culture identitarie.
Ciò che è accaduto a Tirana, replica di un passato recente di cui è testimonianza la non meno dissennata distruzione dello Stadio della stessa città, per altro reso più appariscente dall’esplicito disprezzo per le istanze della società civile e per l’espressione di molti esponenti della cultura, è infatti già accaduto in altre città europee, e non solo, laddove l’architettura globalizzata, sempre più sradicata dalle proprie radici, viene proposta come modello di rigenerazione urbana in un mondo asservito alle specifiche esigenze di un mercato globale indifferenziato.
Privata dei suoi monumenti identitari Tirana non è più Tirana.

Fani Mallouchou-Tufano (Deputy Chair of the Committee for the Conservation of the Acropolis Monuments -ESMA)

Let’s safeguard in situ the antiquities of the Venizelos Metro Station in Thessaloniki
The antiquities of the Venizelos Metro Station in Thessaloniki are unique due to their unitary extant size, the excellent preservation, the monumentality of their scale and their architectural character. The two monumental marble avenues, with the monumental tetrapylon at their intersection, framed by porticos, shops and a square, offer to the modern city a new, powerful and tangible, image of the urban landscape of the Late-roman and Proto-byzantine Thessaloniki, that connects it directly to its Hellenistic and Roman predecessors.
The unique spatial and material qualities of these antiquities and their invaluable scholarly and, potentially, cultural and social significance, impose their safeguarding for future generations in the full richness of their integrity and authenticity. This is achieved only through their conservation and enhancement in situ, without any removal, on the very same ground that safeguarded them for sixteen centuries.
An urban landscape, comprising superimposed earth fillings of differentiated consistency and various, equally inconsistent, building materials, cannot be torn into pieces and transported without irreversible damage of its material substance and of its authenticity as material testimony of its inherent -aesthetic, environmental, technical and technological- values. A part of a city, like that revealed in the Venizelos Station, that bears the intangible print of its diachronic life, is the immovable monument par excellence.
Properly conserved and enhanced in situ, the Venizelos Metro Station antiquities could become a multifaceted pole for the urban, cultural, social and economic regeneration of the modern city and could be added to the already inscribed in the WHM list of Unesco other Paleochristian and Byzantine Monuments of Thessaloniki

Anna Bruna Menghini (Prof. Arch., Sapienza Università di Roma) 

Una fragile architettura a Tirana  
Una pagina “costruita” della storia della città, un perturbante palcoscenico della memoria, una silenziosa scenografia, una malinconica macchina futurista, una preziosa isola metafisica soffocata dall’aggressivo caos metropolitano, un raro e accogliente interno urbano, un vivace attrattore culturale e ri-creativo, questo era il Teatro Nazionale, per occhi che sapevano e volevano vedere.  
Tirana, la giovane Capitale “laboratorio del moderno”, ha perso tante occasioni per riaffermare quella sua originale condizione. Questo piccolo e fragile "edificio parlante" si sarebbe offerto come museo di se stesso e di una Capitale che oggi compie solo cent’anni, ma che ha già perso la sua memoria.  

Nicola Martinelli (Prof. Arch., Politecnico di Bari e membro del Consiglio Superiore dei Beni Culturali e Paesaggistici del MIBAC) 

Delitti Notturni 
Un tipico paradosso della contemporaneità mercantilista e miope culturalmente questo della vicenda del Teatro Kombetar di Tirana; per una presunta spinta alla Modernizzazione della capitale albanese si demolisce un gioiello del Moderno, un luogo dove nel corso di una serata dolce e luminosa come quelle che ti possono capitare a Tirana ascoltavi musica, vedevi gente nuotare in piscina, trovavi amici con i quali bere un Raki’ chiacchierando…la rappresentazione plastica di quella Città Meridiana che tante volte Franco Cassano ci ha descritto nelle sue pagine lucidissime, pensando alle città del Mezzogiorno d’Italia, della Grecia, della Spagna, del Maghreb… 
Un doppio paradosso perché un Premier artista demolisce un monumento, un luogo dell’arte in favore di un’operazione di una ulteriore architettura autoriale, foglia di fico di una nuova operazione speculativa. 
Un delitto quello del 17 maggio consumato di notte come tutti i delitti im-perfetti  

Loredana Ficarelli (Prof. Arch., Prorettore Vicario del Politecnico di Bari)

Un’anima, un popolo, una lingua!
Nel 2018 in occasione della missione organizzata da Confindustria Bari, prese forma il primo viaggio a Tirana. Appena atterrata in quel giovane e moderno aeroporto, la mia prima impressione è stata di “sospensione”!
In viaggio porto sempre con me un libro di chi ha percorso quella stessa strada, me ne servo come metro di paragone per misurare ciò che vedrò.
E così mi accorgo che quelle descrizioni, a volte contraddittorie, delle campagne, delle colline, dei laghi, della città romana, bizantina, ottomana o comunista, italiana e moderna che sia, sono tutte li, “sospese”, appunto, al cambiare delle vecchie e delle nuove “politiche”.
Mi ha colpito la tenacia e la passione delle giovani generazioni che inseguono il sogno dello sviluppo e benessere, rivendicando autonomia e distacco dal passato, pretendendo una solida e globalizzata ristrutturazione economica e non solo. Un desiderio di allontanamento dal peso del passato, spesso, di occupazione! Ferdinando Milone dice “Ciò che […] più di ogni altra cosa qualifica il popolo albanese è la lingua che essi parlano. Questa è che, conservandosi mirabilmente, ha impedito che quel popolo si perdesse, come di molti avvenne, andando a confondersi nel seno di altri popoli prevalenti su di lui". Il passato è comprendere le proprie ricchezze, riconoscere i propri limiti, non adorazione di ceneri o nostalgico amore storiografico; una esigenza civile, culturale e politica, quella che, a mio parere, è mancata alla decisione scellerata, ma contestualmente voluta dall'attuale governance albanese nella cancellazione di un simbolo di democrazia e liberà.
Che Tirana torni a parlare la sua lingua!

Vitangelo Ardito (Prof. Arch. DICAR-Politecnico di Bari) 

La condizione tragica dell’uomo 
La distruzione del teatro a Tirana è un lutto per gli architetti e per la comunità. In ogni caso, che sia una architettura di qualità o meno, esso è parte della memoria della città. Ma un teatro, più di un tempio, è per eccellenza l'edificio della comunità - lo pensava Giovanni Michelucci che identificava lo spazio della città con lo spazio del teatro - e non a caso nell'ultimo secolo il teatro ha assunto sempre più i caratteri del tempio e viceversa: quelli di una sala aperta, senza divisioni tra i soggetti che lo abitano. Perché ciò che si celebra in un teatro - la condizione tragica dell'uomo - viene prima di ciò che il rito celebra come la possibilità di una risposta - il riconoscimento della divinità. Perciò è doloroso registrare una tale notizia. 

Roberta Belli (Prof. Archeologa, DICAR-Politecnico di Bari)

Come cambia Tirana
Quando passeggiavo per Tirana mi piaceva andare fino al Teatro Kombetar, fermarmi a guardarlo per un po’: con la sua forma, le sue dimensioni discrete, i suoi colori rappresentava un momento di pausa “visiva”, era sobrio ma aveva una sua identità, collocato in uno spazio che, per i diversi monumenti che ospita, rappresenta quasi un palinsesto della storia della città. Altrettanto accogliente era il suo interno che avvolgeva con la sua calma eleganza quando si entrava per assistere a qualche spettacolo.
Parlo di pausa “visiva” perché trovo che Tirana sta assumendo in modo eccessivo e incontrollato il carattere di laboratorio delle architetture, che si affiancano l’una accanto all’altra in quella che appare come una corsa senza freni alla sperimentazione e al protagonismo di chi le progetta; i grattacieli che si stagliano contro il cielo hanno distrutto il sapiente rapporto tra il costruito e il paesaggio delle montagne che circonda la città. Forse un altro teatro più moderno potrà anche rappresentare un’opportunità in più per lo sviluppo dell’arte e dello spettacolo della capitale albanese; certamente, però, questo non significa necessariamente che il Teatro Kombetar dovesse essere abbattuto; esso, ormai parte della città, avrebbe potuto - anzi sarebbe dovuto - continuare ad esistere in quanto parte della memoria e dell’identità stessa di Tirana.

Enrico Porfido (PhD. Arch., Pais(vi)agem collective, Instituto hábitat turismo territorio – UPC Barcelona UMA Malaga) 

Il rispetto della città  
Rispetto per il passato di una città come Tirana, per la sua identità. Dietro alla simbolica distruzione del Teatro Kombetar si nasconde il fantasma della speculazione, dell’interesse privato, dell’ignoranza che porterà i cittadini a cercare nuovi spazi lontani, lasciandola vuota come chi la governa. È ora di riappropriarsi di ciò che vi appartiene, non “come era dov’era” ma con la consapevolezza di chi vuole una città di tutti per tutti. Ju jeni bukët, kripërat dhe zemrat e mia. Hajde Shqipëri!

Ylli Demneri (Scrittore e direttore artistico della rivista "Le Journal des Acteurs Sociaux", Parigi) 

La barbarie au nom du modernisme 
La démolition du Théâtre national au beau milieu de la nuit est un acte perfide et barbare. Cette action vile n'a rien à voir avec la relation sincère que doit entretenir tout homme qui a été choisi pour diriger la capitale. Cela a été clairement mis en évidence ces dernière années par toutes ces manipulations et astuces administratives et juridiques liées au destin du théâtre. En plus des valeurs architecturales, le théâtre était devenu un temple, grâce aux textes de Shakespeare, Molière, Schiller, Goldon, Brecht, Gogol, Tchekhov, etc., interprétés par des acteurs talentueux. Il était sanctifié par leurs voix et les émotions qui remplissaient la salle. Cela n'a rien à voir avec lanostalgie. Mais ce théâtre a été aussi "déchiré", comme le dit à juste titre le comédien Mehdi Malkaj, par tous ces acteurs, metteurs en scène et scénographes qui se sont tus en mettant le Parti au-dessus de tout. Sans parler des vendus. Malheureusement, ils sont restés acteurs et militants sans pouvoir devenir citoyens. Le citoyen a des droits et des devoirs. Le vrai citoyen participe à la vie des institutions politiques et à la création du bien commun. Leur silence est honteux! J’ai appris aussi qu’il existe à Tirana l’Association des architectes de l’Albanie. Et je me demande comment ses membres ont pu rester muets en regardant les monuments historiques se faire raser, laissant ainsi disparaître la mémoire de la ville. «Le futur appartient à celui qui a la plus longue mémoire», disait Nietzsche. Comment ces architectes peuvent continuer tranquillement leurs affaires au milieu de ces comportements sans foi ni loi et de cette jungle bétonnée qu’on voit partout en Albanie? C’est comme si le bureau des droits de l’Homme se trouvait dans la salle des tortures!

Stela Karabina (Press officer per l'architettura, Torino) 

Teatro 
Lontano dall’aura elitaria che altrove si riserva ai luoghi della cultura, il Teatro nella Tirana dei primi anni ‘90 era simbolo di rinascita e apertura, accoglieva ogni età e ceto sociale e restituiva, generoso, un’identità ritrovata. La stessa identità che oggi, sopraffatta dal profitto, chiede di non essere dimenticata.

Alessandro Laera (PhD. Arch., DICAR-Politecnico di Bari)

La Mancanza
«[…] Non si può leggere La Mancanza, soltanto avvertirla.» A. Golden.

La memoria è fragile. Al grido di “Modernità!” si è fatta ancora una vittima. L’inarrestabile maelstrom della speculazione edilizia ha ingurgitato un’altra tessera della città di Tirana ed il pericolo che questo cataclisma strumentato dall’uomo devasti il suo intero patrimonio è ancora in agguato. Tirana è solo una delle tante città che rischia la distruzione del proprio passato a favore di un finto ammodernamento che serpeggia come un cancro inestirpabile nelle politiche edilizie di tanti Paesi. Tirana non è sola. Le nostre città subiscono ogni giorno il disfacimento della loro storia e dobbiamo prendere coscienza che questo patrimonio è ormai fragile, indifeso e prossimo al collasso. Alla fine dei nostri giorni, cosa ci sarà più da ricordare?

Nicola Dario Baldassarre, Mariagrazia L'Abbate (Arch., Barcellona, Mantova)

Perché tante proteste?
Il teatro Kombetar non era un edificio appariscente. Non era un edificio prestigioso. E non aveva nemmeno caratteri estetici particolarmente eminenti. Probabilmente la proposta di BIG sarà tutto questo e sicuramente “altro” che l’ex circolo Scanderbeg non è mai stato.
Allora perché tante proteste? Perché lamentarsi se invece di un teatro decadente si costruirà un edificio grande, nuovo e scintillante?
Il teatro Kombetar aveva una silenziosa dignità e, nella sua sobrietà, conservava la traccia del suo tempo con molti significati. Portava la storia della fabbrica e del suo ruolo culturale nel particolare momento storico in cui è nata; portava la storia urbana della Tirana dei primi decenni del Novecento. Di storie se ne possono tirare fuori tante e, anche se non particolarmente roboanti, assumono peso nell’essere irripetibili parti di un tutto.
La demolizione del circolo Scanderbeg non è altro che l’ennesimo tassello di un processo di distruzione del passato architettonico in atto da anni in Albania, ed è stata forse l’ultima resistenza a cadere. Qual è il futuro che attende l’Albania negli anni a venire? Quale il futuro del tanto celebrato asse monumentale di Tirana? Probabilmente non riuscirà a compiere il suo centesimo anniversario senza vedere altre costruzioni affacciarsi attraverso le alte chiome dei suoi pini.
La miopia consiste nel non vedere ciò che hanno visto milioni di turisti a Tirana in questi anni. Dove altro un grattacielo sovrasta una moschea ottocentesca, affianco ad un edificio fascista, di fronte ad uno comunista?
Quando si sarà cancellata ogni traccia del passato, quale sarà la ricchezza del futuro?

Ardian Vehbiu (Scrittore, New York) 

Distruzione come ultimo spettacolo 

C’è chi diceva, a Tirana, che l’edificio – ora distrutto – del Teatro Nazionale era un raro se non unico esempio del modernismo italiano degli anni 1930; qualcun’altro, invece, affermava che il Teatro aveva fatto il suo tempo e che non serviva a niente. D’istinto, e da uno che è cresciuto, anche culturalmente, nella Tirana del Teatro, mi schiero con quelli che amavano l’edificio e il simbolo che l’edificio incarnava. L’altro giorno, guardando a caso un quadro di De Chirico, ho pensato: il nostro tanto rimpianto Teatro sembrava fosse uscito da un paesaggio urbano metafisico del pittore, un segno complesso di memoria e nostalgia struggente. L’epoca fascista ha lasciato molti segni sul centro di Tirana – tutti prontamente riutilizzati, grazie al loro valore monumentale intrinseco. Il Teatro l’ha pagata cara, invece, la sua inabilità di fungere come monumento, di apparire fallico, di offrirsi agli spettacoli del potere. Il resto delle grandi strutture erette dagli architetti italiani al centro della città è servito e ancora serve perfettamente alla Tirana capitale del paese e sede delle varie istituzioni governative; ma il Teatro no, quello apparteneva alla città e ai suoi cittadini, come fulcro civico e culturale. Si è trasformato in un simbolo cittadino tra i più pregiati, grazie alla gente che l’ha amato e agli artisti tra i migliori del paese, che l’hanno onorato con la loro arte e il loro impegno puro, e a tutto ciò che il suo pubblico ci ha investito: attenzioni, sogni, ricordi, speranze ed esperienza rarefatta della città stessa. Forse per questo motivo la sua distruzione è stata vissuta – da chi lo amava – come un’istanza di sfasciamento culturale, un atto di terrorismo simbolico, un grido di vittoria di chi s’identifica con Tirana capitale e centro di potere, alle spese di chi Tirana la vive come la sua città intima. 

Alba Laura Dell'Olio, Nicola Cosimo Aluisio (Arch. Bari)

Progresso regresso
Demolire è sinonimo di cancellare. Cancellare significa perdere per sempre la memoria di un’identità collettiva. Di una storia comune. Di un patrimonio esclusivo. Senza memoria, senza coscienza di sé un popolo resta in balia del globalismo eterodiretto. Del progresso per il progresso. Che uniforma, livella, appiattisce le coscienze, gli estri, gli ardori. Un popolo senza storia è un popolo senza futuro.

Silvia Sbisà (Arch., Bari)

Il tempo e l'architettura
Al centro di questa tragedia risiede una fondamentale perdita d’identità del contesto costruito. Nel campo dell’architettura, attualmente, si opta per risposte tecnologicamente più vantaggiose, deteriorando quel sentimento d’orgoglio che la gente avverte nei confronti della città, del paesaggio, del lavoro e di conseguenza della propria identità. Dunque ci si ritroverà dinanzi a città, che non possederanno più alcuna esistenza e che non ci restituiranno più alcun passato, perché è il tempo il protagonista delle nostre decisioni. Ed è solo attraverso esso che siamo capaci di misurare l’importanza di un’architettura elevandola a monumento.

Adi Krasta (Jounalist, Tirana)

We are what we rembember
The “Scanderbeg Complex” where the National Theatre it was the heart, is/was/will located at the very historical centre of Tirana. Its vile demolition, at four am of a coming dawn sends shivers to our spine and gives us a clear warning what a greedy government can cause to the cultural monuments and to our souls. More loud voices of dissent needed. Now.

Andrea Innocenzo Volpe (Prof. Arch., DIDA Dipartimento di Architetura, Università degli Studi di Firenze)

Ora tutto questo (non) è perduto
La perdita del Teatro Kombetar, con una modalità blitz-notturno che nemmeno lo scaltro costruttore Edoardo Nottola del film di Francesco Rosi avrebbe potuto immaginare, rappresenta - dopo la vicenda dello stadio di Bosio - l'ennesimo colpo inferto alla memoria e all'identità di Tirana. BIGness & greenwashing milanese a go-go per la nuova capitale del cinismo degli ............. (evito di scrivere quella parola che finisce con "star" come i dadi per il brodo, riempite voi lo spazio vuoto). Eppure i sogni non muoiono all'alba. Proprio dallo scempio del Kombetar, grazie a un manifesto come questo, può e deve nascere una seria occasione per unire le voci di coloro che pensano che sia ancora possibile intendere l'insegnamento e la prassi della progettazione architettonica e urbana come un'occasione di dialogo: con la città, con la sua storia, con il suo paesaggio e il suo patrimonio culturale. Il sipario si è appena alzato.

Serena Vinci (Archivista e Storyteller)

Θεάομαι. Di cosa (non) essere spettatori
C’è stato un tempo in cui persino la cattedrale di Notre Dame di Parigi ha rischiato la demolizione. Nell’Ottocento il disprezzo post rivoluzionario per i luoghi di culto e il mutato gusto estetico furono le cause principali dell’incuria del monumento, oggi simbolo imprescindibile della cultura europea. Il romanzo Notre Dame de Paris di Victor Hugo contribuì in modo decisivo alla costruzione dell’identità francese, che non poteva prescindere dalla sua storica cattedrale, teatro di vita vissuta. Il restauro iniziò nel 1844 grazie alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Per il teatro di Tirana è ormai troppo tardi, ma si può - si deve - provare ugualmente a usare la cultura come leva per sollevare le coscienze.
Nel V sec. a.C. il teatro greco viveva il suo periodo di massima espressione: rappresentazioni fastose e spettacolari in un contesto architettonico unico al mondo. Però c’era un altro luogo in cui ogni drammaturgo greco avrebbe voluto mettere in scena la sua opera, il teatro di Siracusa. Qui le rappresentazioni erano assai più minimal, si direbbe oggi, a causa di un governo tirannico che limitava la libertà di espressione. Tuttavia è stato un centro fondamentale per la ricerca teatrale.
Se l’essenziale è dunque invisibile agli occhi, forse possiamo sognare di far rinascere il teatro di Tirana, a partire dal ricordo di se stesso e proprio in virtù di questa demolizione ignobile, figlia di valutazioni scomposte e per niente lungimiranti.

Francesco Protomastro (PhD. Arch., DICAR-Politecnico di Bari)

Dove non c’è memoria non c’è invenzione
Il commercio dei valori di autenticità, storia e appartenenza, la mercificazione della tradizione e della cultura sono le radici comuni di quei processi in cui risiedono le maggiori ambiguità della condizione postmoderna. Disvelando spazi fertili per le avide logiche politiche e il mero progresso economico, ammettono come necessaria la distruzione sistematica della memoria sociale, la crescita delle città sulle macerie di un passato del quale è inevitabile cancellare ogni traccia discorde alle regole speculative della globalizzazione.
La demolizione del Teatro Kombetar di Tirana, sottratto violentemente dalle mani di una comunità che in esso riconosceva uno degli ultimi simboli della sua più autentica identità collettiva, appare oggi un nuovo testimone della debolezza e della volubilità delle illuminate aspirazioni umane.

Matteo Ieva (Prof. Arch., DICAR-Politecnico di Bari) 

Fusione di orizzonti
Porrei una domanda: può considerarsi ammissibile il diritto esercitato da un colonizzatore giunto in un luogo di imporre alla cultura autoctona il suo modo di essere e di costruire/vivere lo spazio abitato?
È difficile accettare l’idea che il contatto tra culture diverse possa ammettere che una delle due soccomba e l’altra eserciti una forma di dominio incontrastato. E tuttavia, la storia rivela che, pur se le intenzioni di chi viaggia verso altri mondi non sempre corrispondano a una volontà sovversiva di annientamento dei tratti caratteristici della cultura civile incontrata, il rischio di generare un iniziale, temporaneo iatus culturale a causa della condizione di crisis originata dal contatto e di giungere gradualmente a conquistare una forma di κοινή διάλεκτος è del tutto plausibile e accertato e, in molti fortunati casi, ricomposto l’infranto, ha prodotto esiti ibridativi di altissimo valore (v. le straordinarie testimonianze delle colonie greche e romane).
Il caso del teatro di Tirana esprimeva proprio quella fusione di orizzonti a cui l’architettura moderna del tempo aveva rivolto le proprie aspirazioni.
In circa 80 anni di vita, l’organismo architettonico era ancora in grado di testimoniare la sua vitalità e l’appartenenza a due culture che dal confronto dialettico avevano prodotto (v. le analisi critiche di A.B. Menghini) opere di significativo valore che la storiografia ufficiale aveva archiviato tra le più rappresentative di quella complessa fase storica.

Giuseppe Strappa (Prof. Arch., Sapienza Università di Roma)

Ancora uno scempio
La demolizione dello storico teatro di Tirana è solo l’ultima delle tante, dolorose vicende che riguardano il patrimonio dell’architettura moderna europea. Alcune di queste architetture sono state rese celebri da una letteratura di parte e sono ampiamente protette. Altre, come nel caso del teatro di Tirana, sono meno note e quindi continuamente a rischio. Occorre sollecitare iniziative ufficiali di tutela con un registro delle opere moderne da tutelare. Occorre far notare che queste opere fanno parte, anche quando poco note, di un patrimonio cultuale non solo nazionale, ma europeo.

Léon Krier (Architect)

The Demolition of Teatri Kombetar in Tirana
The shocking aesthetic and technical poverty of the general building activity since 1945 demonstrate that architecture and urban planning decisions are, contrary to what the general public believe, not in good hands. Whatever has improved since 1945, socially, scientifically or technologically, architecture and urbanism haven’t. The pathetic comedy of citizens, including the President’s wife, being arrested in early morning hours for wanting to save the treasured Teatri Kombetar in Tirana, is the latest of countless futile citizen initiatives to protect the traditional building heritage of the world. Pier Paolo Pasolini’s elegy on the destruction of Yemen’s built heritage (Le Mura di Sana) speaks for countless parallels around the world.
Public authorities, in collusion with partisan economic interests, no longer defend the Common Good of natural and manmade environs. Instead they invariably and worldwide act as agents of subversion and corruption. The naked brutality of the modern built environment, in fact the grotesque recent invasions of the skylines of Tirana, of the City of London, of NY, of La Défense, of Moscow, of Beijing are shrieking symbols for the criminal power abuses driving politics and finance independant of political regimes. Wide popular protests and initiatives are not only necessary to save what is left but to impulse the reconstruction of the building and planning cultures which shape our precious traditional landscapes and cities.

Valerio Perna (PhD. Arch., Polis University Tirana) 

Il valore delle immagini
La distruzione del Teatro Nazionale lascia un vuoto incolmabile nello spazio fisico di Tirana. A prescindere dal suo specifico valore architettonico, riconoscibile nel grande cortile in grado di generare tensione spaziale e spazio urbano tra i suoi due corpi gemelli, nel corso dei mesi la sua difesa ha cementato l’identità umana di molti nel nome di un senso di responsabilità civile e collettiva. Forse è proprio per questo che il Teatro andava salvato, perché ci ha ricordato che la forma costruita definisce delle immagini che concorrono, attraverso un processo di accettazione a appropriazione umana, alla modificazione evolutiva di noi stessi. 

Giuseppe Resta (PhD. Arch., Bilkent University, Ankara) 

Newness o morte 
A Tirana regna quell’incoerenza spaziale e visiva che rende uno spazio urbano degno di essere esplorato. Ho l’impressione che in questa corsa alla newness, sempre troppo concentrata sul centro della città e poco consapevole della periferia, si stia abbattendo la scure della normalizzazione edilizia. La sostituzione del Teatro Nazionale dimostra la nostra incapacità di lavorare con la Storia, trasformarla e interpretarla, in favore di un render pettinato che ammicca alla Mitteleuropa. Probabilmente questo evento non sposterà il destino di una capitale, ma è un triste segnale della omogeneizzazione estetica che un nuovo colonialismo culturale sta diffondendo sotto la bandiera del rinnovamento. 

Fabrizio Bellomo (Artista multidisciplinare, curatore e scrittore, Bari) 

I fatti ci riguardano... 
I fatti dell’abbattimento del Teatro Kombetar di Tirana ci riguardano, in primo luogo perché trattasi di una storica architettura italiana, dello stesso stile fascista di cui sono pregne molte nostre città. Poi ci riguardano perché queste storie di abbattimenti dettati dalla speculazione, succedono ovunque e anche da noi, e poi ci riguardano perché il premier di quel paese – responsabile diretto dell'abbattimento del teatro – viene spesso elogiato e lodato pubblicamente (e anche tramite il suo ruolo istituzionale), dall’odierno presidente della Triennale di Milano (nonostante il conflitto di interessi dettato dai documentati rapporti economici che questo ha sviluppato con l’Albania del presidente Rama negli ultimi anni). La Triennale di Milano, un luogo questo – un tempo simbolo per l’architettura e per il design moderno: italiano e non. E oggi – cari studenti è bene ribadirlo proprio a voi perché lo sappiate – da un uomo capace di invitare il principale responsabile dell’abbattimento di una architettura storica italiana (anche se ubicata all’estero) – solo pochi giorni prima del fattaccio – e dialogare con lui di tutt’altro, elogiandolo tramite i canali della Triennale e in diretta su La Repubblica. Capite da soli che anche noi abbiamo un problema. Grosso: Stefano Boeri. 

Mikel Xeka (studente, DICAR–Politecnico di Bari) 

Invasioni Barbariche 
“Le forme sono l’apparire estetico di tutte le nostre emozioni.” – R. Rizzi
Con questa frase di Renato Rizzi si può in qualche maniera preludere sulla “forma” barbara con la quale è stato demolito il Teatro Nazionale a Tirana. 
Questo atto è simbolo di prepotenza e arroganza nei confronti di una società abbattuta e sottomessa; si cancella gradualmente la memoria di una nazione attraverso la distruzione dei suoi monumenti. 
La faccenda in questione è abbastanza controversa. Sin dall’antichità il teatro è stato luogo simbolo della riunione (théatron: luogo dal quale si assiste a qualcosa); in questo caso è stato simbolo di separazione. 

Xhulja Noreci (studente, DICAR–Politecnico di Bari) 

Dissonanza 
Non è più in bilico la trasformazione complessiva, esibizionista, di un piano, ma sono i movimenti individuali, parziali, definiti nel tempo e nello spazio a fare più male nel mio paese. La salvezza, a mio parere, se non vogliamo vivere in una perenne dissonanza? È avere profonda esperienza di un'altra lingua. 

Mariagrazia Panunzio (Arch., Crema) 

Visioni di resistenza alla repressione  
“Lo spirito ha i suoi bisogni, come il corpo. I bisogni del corpo sono il fondamento della società, quelli dello spirito il suo ornamento. Mentre il governo e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli uomini associati, le scienze, le lettere, le arti, meno dispotiche e forse più potenti, stendono ghirlande di fiori sulle ferree catene che li gravano, soffocano in loro il sentimento di quella libertà originaria per cui sembravano nati; li rendono amanti della loro schiavitù, ne fanno, come si dice, dei popoli civili. Il bisogno elevò i troni; le scienze e le arti li hanno rafforzati.” 
Jean-Jacques Rousseau, Scritti politici, a cura di M. Garin, Bari, Laterza, 1971 

Cinzia Paciolla (PhD. Arch., Sapienza Università di Roma) 

Scrittura 
Edificare non basta, bisogna costruire. Costruire è raccontare la città, contribuire alla sua storia. Bisogna che ci sia la storia, per costruire. 

Maira Marzioni (scrittrice, Galatina, LE) 

Senza rete  
La storia è questa: la città è a tratti bellissima, a dispetto dei suoi abitanti, che si vestono bene, ma non riservano la stessa cura alle pietre in cui poggiano, figurarsi alla terra intorno, sinonimo di fatiche e maledizioni...La storia è questa: la città è a tratti bellissima a dispetto... ma è in vendita...massima edificabilità. 

Davide Falco (PhD. Archeologo, DICAR-Politecnico di Bari) 

Il sonno della ragione genera macerie 
L’architettura è politica. Il Teatro Kombëtar abbattuto a colpi di benna meccanica, nella notte, privato della sua materialità si muove come fantasma nella coscienza scossa della sua città per farsi immagine divinatoria. 
La storia che viviamo non riesce a produrre rovine, non ne ha le capacità (Augé). Produce macerie, e quelle del Teatro Kombëtar sono scarti di lavorazione: sfrido funzionale all’incedere di una globalizzazione che si atteggia in forme di presunto progresso, privo di significato e condivisione sociale. Dove prima era forma, volume e senso, si è fatto spazio a un vuoto che non ha il tempo di significarsi perché già può e deve essere colmato. Troppo evidente la natura delle scelte, troppo miope la sua ragione, troppo odioso il disprezzo perpetrato nei confronti della comunità cittadina. In questa vicenda c’è tutto quello che l’architettura non è.   
Una notte d’ottobre del 1991 un incendio doloso privava la città di Bari del suo teatro che, ricostruito nella forma, è stato violentato nella sua essenza da un procedimento giudiziario che non ha portato alcuna conclusione. La città, fisiologicamente, ne conserverà memoria per il tratto, ancora, di una generazione o due. La forma priva di significato è inconsistente. La memoria ci rende umani. Le vicende di Tirana ricordano, ancora, che la memoria delle città, delle nazioni, dell’Europa – che è il futuro del Mediterraneo – si costruisce a fatica e si perde, con grande facilità, un pezzetto per volta. 

Renee Soleti (PhD. Arch., DICAR-Politecnico di Bari) 

La facilità del demolire 
Per una politica senza un’idea di società (o civiltà) è facile demolire, rimuove per sostituire quello che considera un “prodotto” obsoleto. Lo sostituisce con qualcosa di nuovo, accattivante e figlio di una logica prettamente speculativa. Con questa operazione vince un’idea di città concepita come se fosse un supermercato che si rinnova in base ai gusti del mercato.  
Fermarsi e ripensare collettivamente verso dove la città sta andando è molto più complesso.  
Con la demolizione del suo teatro la città di Tirana perde la sua memoria e parte della sua identità passata in favore di un futuro forse che ne sarà privo. 

Maria Adriana Giusti (Prof. Arch., Dipartimento di Architettura e Design, Politecnico di Torino
 
Guerra ai demolitori 
L’asse centrale di Tirana, costruito su un intelligente equilibrio urbanistico e architettonico, che pure ha attraversato le trasformazioni del secondo ‘900, con la demolizione del teatro Kombetar, perde la propria identità, erosa da una nuova edilizia speculativa e senza luogo. Ciò, in sfregio ai numerosi studi e progetti di restauro sul patrimonio albanese, consolidati da 20 anni di scambi tra università e istituzioni.

Vincenzo Paolo Bagnato (PhD. Arch., Ricercatore Senior in Disegno Industriale, DICAR, Politecnico di Bari)

La demolizione della memoria
La demolizione del Teatro Nazionale d’Albania a Tirana è un evento gravissimo, espressione sia dell’incapacità politica di proteggere gli elementi più significativi della memoria e dell’identità storica di una città e di una comunità, sia della totale mancanza di sensibilità per la qualità architettonica di una costruzione peraltro inserita in un contesto urbano unico e irripetibile. Tutto ciò in nome di una travisata interpretazione del concetto di “rigenerazione urbana” basata sull’acritica cancellazione di ogni traccia del passato.

Alessandro Labriola (PhD. Arch., DICAR-Politecnico di Bari) 

Gli edifici perduti non ritornano mai 
Il BIG-Bjarke Ingels Group progetta e realizza ogni anno numerosi edifici, sviluppando idee brillantemente in linea con le tendenze stilistiche contemporanee e con le aspettative economiche e ideologiche della committenza. Il Teatri Kombetär costituiva una testimonianza unica di un momento irripetibile della Storia dell'Architettura e dell'Albania. Molto probabilmente in futuro Bjarke Ingels progetterà ancora in altri luoghi teatri adeguati al nostro tempo. Una cosa però è certa: il Teatri Kombetär è perso per sempre, e con lui un pezzo di memoria. 

Maura Pinto, Piervito Pirulli (Arch. co-founder Opus atelier, Bari) 

Abbassiamo le matite 
Se ancora esiste una dimensione morale dell’architettura è seppellita sotto i libri. Quanto più l’architettura si fa oggetto commerciale, tanto più gli architetti diventano marionette, non governano i loro progetti, ma ne sono governati. Abbassiamo le matite, riscopriamo l’etica del mestiere. Per farlo però, dobbiamo camminare più piano. Andiamo ad attingere al serbatoio della memoria dei cittadini, progettiamo non per una mera esaltazione dell’ego, ma per il bene comune. Pensiamo al futuro, ma custodiamo le nostre radici, sempre.

Saimir Kristo (PhD. Arch., Vice-Dean Faculty of Architecture and Design, POLIS University Tirana)

Erasing Memory/ Aλλοιώνοντας την μνήμη
This is not just the fall of a building designed by Giulio Berte in 1939, an important part of the architectural and Cultural heritage of Albania, as the building doesn't mark of only architectural value but of course of its impact in the urban morphology providing a qualitative public space in the center of the city of Tirana as an integral part of its conception, but the repeated act of the fall of democracy in Albania after the destruction of the historic houses of Tirana, the destruction of the National Stadium, and the collective memory and history of Albania.

Elidor Mëhilli (Associate Professor of History and Public Policy, City University of New York, USA)

A City of Ghosts
Tirana’s streets and squares have often been filled with rallies, clashes, and protests. This also happened with the National Theater, which was a building, a place of memory and community, a precious example of the era of “materiali autarchici,” and a living demonstration of the Mediterranean and socialist afterlives of Italian architecture. This history of protest and solidarity will become a part of the memory of Tirana - no matter how expensive the glass mammoths designed by Western architects. It is not the first time that Albanian leaders have chosen to destroy. It will not be the last. They keep designing stone pyramids in the name of the people. They keep bulldozing the past, only to have the past come back to haunt them.

Silvia de Mauro (Arch., Milano) 

Chiasso per Tirana 
Quando nel novembre 2014 son salita su quel traghetto, sapevo che l’indomani mattina, sull’altra sponda del Mediterraneo, avrei trovato un Paese profondamente segnato dagli accadimenti della storia recente, con ferite ancora aperte e forti disparità sociali da colmare. 
Non posso negare di avervi trovato tutto questo.  
Nei venti giorni successivi di ‘esplorazione’ del territorio, di contatto diretto con la gente e di studio, ho scoperto gli aspetti più affascinanti dell’Albania: la cultura e le tradizioni ancora autentiche, l’entusiasmo, la vitalitá e la riconoscenza di un popolo già proiettato nel futuro. 
La notizia della demolizione del Teatro Nazionale di Tirana non ha potuto lasciarmi indifferente: cancellare un simbolo culturale e di appartenza per motivi economici è un gesto vile che danneggia una città bellissima e che non deve passare inosservato. 
Questo Paese merita, soprattutto per atti come questo, tutto il nostro sostegno.

Nicola Cavallera (Arch., Cavallera Architetti, Bari)

La partita era truccata
Demolire un Teatro, o un qualsiasi altro pezzo di storia consolidato all'interno del tessuto urbano, ed al suo posto concepire un'architettura senza anima, liquida nella sua essenza, connubio labile di formalismo e funzionalismo, la cui composizione non è governata da regola alcuna, non è soltanto un atto privo di ogni morale, ma è la conferma che quella che stiamo giocando è una partita truccata. Truccata da chi professa libertà e uguaglianza, da chi dice di operare nell'interesse delle comunità, ma nel frattempo scende a compromessi stringendo la mano al suo stesso nemico. Siamo soli in questa lotta impari. Bisogna avere tenacia. La nostra sfiducia, che va di giorno in giorno consolidandosi, sembra essere l'ultimo elemento di coesione nella nostra Società. Pare logico, ora più che mai, che necessitiamo di un linguaggio etico nuovo.

Chiara Occelli (Prof. Arch., Politecnico di Torino)

Teatri Kombëtar: oggetto o cosa?
Come ci ricorda R. Bodei, cosa è contrazione del latino causa, ossia ciò che riteniamo così importante da mobilitarci in sua difesa, mentre oggetto è un ostacolo che va superato, sopraffatto. Ogni volta che un’architettura viene abbandonata, maltrattata, demolita, è un oggetto. Ogni volta che viene amata, curata, restaurata, è una cosa. E la cosa non ha un valore solo in quanto fisicità, ma è il nodo di molteplici relazioni in cui ciascuno di noi si sente coinvolto: affettive, memoriali, simboliche, culturali. Ogni cosa può divenire oggetto, ma anche ogni oggetto può divenire cosa: proprio in questo sta la ragione della nascita del restauro, di quella cura che è all'origine dell’abitare. La demolizione è sempre una sconfitta dell’intelligenza che non ha saputo vedere in quell'oggetto una cosa, che non lo ha saputo guardare senza ridurlo a ostacolo: e pensare che le cose sanno vivere contemporaneamente molte vite e identità! Anche la contrapposizione ormai stancante, propagandistica, del nuovo e dell’antico, è una sconfitta dell’intelligenza: nonostante i fiumi di parole sul tema, di fronte alle leggi di una economia cieca, di un mercato selvaggio e distruttivo, torna costantemente come un refrain, alla ricerca maldestra di una legittimazione per azioni insostenibili. Ma questo manifesto, come altre manifestazioni di dissenso nei confronti della demolizione del Teatri Kombëtar dimostrano che almeno per noi quell'architettura era una cosa e che non basta un atto ignorante come la cancellazione materiale per sconfiggere la nostra volontà di mobilitarci e la nostra memoria di quell'architettura che comunque continuerà a vivere nell'Architettura. Viva l’Architettura!

Arlind Qori (University of Tirana)

Accumulation by dispossession
The demolition of the National Theater in Albania is a traumatic example of an ongoing process of accumulation by dispossession. The unholy alliance between the Albanian political bureaucracy and the economic oligarchs has been dispossessing people from public spaces, common rights and cultural heritage for decades. The privatize space and undo social rights, so that the oligarchs can make extraordinary profits, with no economic risk, no contribution to upgrading production and making the economy more complex. In order to do so they are transforming the Albanian state institutions from merely corrupted to integrally captured from the oligarchs and in a growing authoritarian manner pursuing this process. What we need to do in order to counter this process of economic, social and political disenfranchisement is to build a broad social movement, which has the correct ideas and strategy to fight back.

Klodi Leka (Activist of ‘Organizata Politike’, Tirana)

Tirana of the future will be an architecture of inequality
The demolition of the National Theater is the starting point of a devastating neoliberal project over Tirana, the capital that is rapidly losing its historic neighborhoods, villas of Ottoman and Italian architecture, giving rise to the establishment of a dystopian city, without memory, with skyscrapers that are the result of dirty money, and the power, that manifests itself as monstrous towards the citizen who feels small, poor and powerless.

Marta Corona (Arch., allieva SSBAP, DICAR, Politecnico di Bari)

Historia vita memoriae
Nel De Oratore Cicerone suggerisce una raffinata definizione di Storia quale «testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell’antichità». Eppure, per il Teatro Kombetar di Tirana quella luce è stata definitivamente spenta. La notte del 17 maggio 2020 ha portato via le forme e con esse l’identità storica e culturale di una struttura testimone del Novecento, architettura dell’uomo e per l’uomo, in nome di iniziative politiche che svelano la mercificazione e lo svilimento della memoria stessa. Le macerie del teatro hanno lasciato spazio a un vuoto urbano, che è anche un vuoto sociale e storico. Ma le macerie, d’altro canto, segnano le coscienze di chi non si arrende e soprattutto in-segnano. Ed è questa la sfida odierna: apprendere la lezione, essere testimoni di ogni tempo, difendere la memoria storica collettiva adottandola come vera ‘misura’ del presente, essere messaggeri dell’antichità. Solo così sarà forse possibile evitare che il patrimonio culturale venga nuovamente minacciato, in Albania come altrove. Solo così il Teatro Kombetar non sarà stato realmente distrutto.

Nicoletta Faccitondo (Arch., Ph.D. student DICAR-Politecnico di Bari)

Di cosa parliamo quando parliamo di un bene che non c’è più?
Il vuoto lasciato dalla demolizione del teatro di Tirana è analogo al vuoto lasciato nella discussione intorno al suo valore, fosse esso estetico, storico, d’uso, di memoria, e al da farsi per un suo possibile recupero o anche riscrittura progettuale. Che alcuni edifici, infatti, possano essere cancellati e sostituiti fa anche parte dell’evoluzione fisiologica della città e del suo ecosistema, quello che però non può farne parte è lo scollamento tra l’architettura, e le istituzioni che dovrebbero curarla, e la voce di parte degli abitanti di quella architettura stessa che ne avevano richiesto una visione differente. Un’opera architettonica può essere oggetto di recupero, o possono esserlo i valori di cui si fa carico, ma non può essere recuperato un dialogo mancato, e l’atto di repressione che è avvenuto e che non deve essere dimenticato. Quello che è accaduto a Tirana è ancora più grave in un momento di prospettiva post-covid dove i programmi proposti ed attuati dalle istituzioni stanno mostrando tutte le loro mancanze circa i beni di necessità. Nelle trasformazioni la conservazione di un patrimonio comune, materiale o immateriale, forgia i valori identitari ed aiuta a mantenerli o innovarli proiettandoli nella vita contemporanea. Il riconoscimento del valore di un bene è il primo passo fondamentale. Ma come ci insegna Il culto moderno dei monumenti, tale riconoscimento non è scontato, ma va coltivato, e l’educazione a farlo dovrebbe essere anch’essa responsabilità della disciplina dell’architettura. La cessione alle logiche speculative e l’annullamento di tutto un processo di dibattito e scelte progettuali è quindi il fallimento della responsabilità sociale dell’architettura. Ed è anche da qui che bisognerebbe ricominciare.

Alberto La Notte (PhD. Arch., DICAR-Politecnico di Bari)

Chiome frondose, radici profonde
Trani e Tirana, due città divise da un mare, due comunità
private di un tempio della propria cultura. Nel 1958 fu demolito il
settecentesco Teatro San Ferdinando di Trani, ritenuto instabile per l'antichità delle strutture e i danneggiamenti subiti durante la guerra. Nel 2020, nottetempo, il Teatro Kombetar di Tirana è stato demolito sull'onda dell’illusione neo-modernista di "magnifiche sorti e progressive". Due vicende che a sessanta anni di distanza raccontano ancora i corsi e ricorsi di una storia triste, una storia di maldestro e miope atteggiamento verso il passato, se non addirittura colpevole. Rimuovere l'antico per agevolare il futuro si è rivelata più volte una mera illusione; tagliare le radici di una comunità, sovente espresse dal patrimonio monumentale storico, ne indebolisce e compromette lo sviluppo, non ne agevola la crescita.
Tutelare le radici culturali, la testimonianza di civiltà che esse
rappresentano, è invece l'unica soluzione per garantire sempre nuovi germogli alla chioma del futuro. La vicenda del teatro di Tirana non passi inosservata e alla distruzione notturna della memoria segua almeno la luce meridiana della riflessione.