«Εἴ τις ὑμῶν, ὦ θεαταί, τὴν ἐμὴν ἰδὼν φύσιν
“εἶτα θαυμάζει μ’ ὁρῶν μέσον διεσφηκωμένον,
ἥτις ἡμῶν ἐστιν ἡ ‘πίνοια τῆς ἐγκεντρίδος,
ρᾳδίως ἐγὼ διδάξω “κἂν ἄμουσος ᾖ τὸ πρὶν”»
«O spettatori, se qualcuno di voi, avendo visto la mia natura,
poi si stupisce vedendomi diventato come le vespe
e si chiede quale sia l’idea del pungiglione,
glielo spiegherò facilmente, “anche se prima non lo sapeva”»
Aristofane, Vespe, 1071 ss.
Le Vespe si costituiscono come una comunità di riflessione condivisa, attenta e “pungente”.
Il nome è ispirato alla celebre e omonima commedia di Aristofane, dove Filocleone, cittadino ateniese del V secolo e protagonista della commedia, fremeva e si accendeva per partecipare alle assemblee del tribunale popolare, nel contesto più ampio di una critica sottile ai demagoghi (oggi politici, capi popolo, speculatori) spesso audaci, spregiudicati e non curanti delle conseguenze delle loro azioni politiche. L’osservatorio intende quindi indagare in modo attento e appassionato, ma a volte anche irriverente, quei processi a cavallo tra potere politico e trasformazioni sociali che vedono coinvolta l’architettura. Quindi, Le Vespe intendono puntare un faro sul modificarsi del rapporto tra architettura e società, con un occhio sempre vigile sulle politiche di speculazione edilizia che colpiscono paesaggi e monumenti.
Le Vespe nascono attorno alle riflessioni sui temi dell’architettura che negli anni del dottorato hanno appassionato il nucleo fondatore costituito dai giovani ricercatori e architetti Paolo Baronio, Antonello Fino, Marson Korbi, Vito Quadrato, Konstantinos Sarantidis e Giuseppe Tupputi, ma lo spazio è aperto a chi, sensibile alle tematiche di approfondimento che verranno di volta in volta proposte, vorrà avvicinarvisi condividendo il senso di comunità al grido “Uniamoci”.
Sono pertanto ben accette segnalazioni di ricerche critiche analoghe a quelle analizzate dall’osservatorio, in modo da alimentare continuamente questo spazio di riflessione.
«Εἶτα δ’ εἱπόμεσθα θυννάζοντες εἰς τοὺς θυλάκους,
οἱ δ’ ἔφευγον τὰς γνάθους καὶ τὰς ὀφρῦς κεντοῦμενοι,
ὥστε παρὰ τοῖς βαρβάροισι πανταχοῦ καὶ νῦν ἔτι
μηδὲν Ἀττικοῦ καλεῖσθαι σφηκὸς ἀνδρικώτερον»
«Poi li inseguivamo infilzandoli nelle brache come se fossero tonni
ed essi fuggivano, punti sulle gote e sulle ciglia,
cosicché dappertutto, presso i barbari, ancor oggi si dice
che niente è più valoroso di un vespa Attica»
Aristofane, Vespe, 1087 ss.